IL GIUDICE ISTRUTTORE
   Letti  gli  atti  del  procedimento  nr.  152796 registro generale,
 avente ad oggetto risarcimento  danni  da  occupazione  appropriativa
 cagionati da comune di Andrano a Rizzo Luce+1;
   Rilevato   che,   per   costante  giurisprudenza,  la  prescrizione
 quinquennale del  diritto  decorre  dalla  scadenza  del  termine  di
 occupazione  legittima,  sicche'  non  appare  opportuna la decisione
 separata ex art. 187 cpv.   c.p.c.  della  questione  preliminare  di
 merito;
   Premesso  che,  dopo  la  sentenza  Corte cost. n. 369/1996, con la
 quale e' stata dichiarata, limitatamente alle parole "eo risarcimento
 del danno" l'incostituzionalita' del comma 6 dell'art. 5-bis legge n.
 359/1992, come sostituito dall'art. 1  comma  65  legge  n.  549/1995
 (legge finanziaria per il 1996), e' stato aggiunto, dall'art. 3 comma
 65  legge  n.  662/1996  (legge finanziaria per il 1997), il seguente
 comma  7-bis  dell'art.  5-bis  legge  n.  359/1992:  "In   caso   di
 occupazioni  illegittime  di  suoli  per  causa di pubblica utilita',
 intervenute anteriormente al 30 settembre 1996, si applicano, per  la
 liquidazione  del  danno, i criteri di determinazione dell'indennita'
 di cui al comma 1, con esclusione della riduzione  del  40%.  In  tal
 caso  l'importo  del  risarcimento  e' altresi' aumentato del 10%. Le
 disposizioni  di  cui  al  presente  comma  si  applicano  anche   ai
 procedimenti   in   corso   non  definiti  con  sentenza  passata  in
 giudicato".
   Che  la  presente  causa,  iniziata  nella  vigenza   della   norma
 dichiarata  illegittima  da  Corte cost. n. 369/1996, dovrebbe essere
 decisa, con riferimento al quantum spettante  agli  attori,  mediante
 l'applicazione  del  nuovo comma 7-bis dell'art. 5-bis della legge n.
 359/1992,  sicche'  e'  indubbia  la  rilevanza  della  questione  di
 costituzionalita' di tale comma.
                             O s s e r v a
   Con sentenza Corte cost. n. 369/1996 venne  ritenuta  astrattamente
 possibile  la  quantificazione  del  danno risarcibile da occupazione
 appropriativa in misura inferiore al reale, a  fini  di  "equilibrato
 componimento"  tra  l'interesse  della  pubblica amministrazione alla
 conservazione dell'opera di pubblica utilita' e al contenimento della
 relativa spesa, e quello del privato alla riparazione per  l'illecito
 subito.  La  norma  esaminata  con la sentenza venne pero' dichiarata
 illegittima, in quanto venne  ritenuta  abnorme  la  riduzione  della
 riparazione  in  favore  del  proprietario  fino alla coincidenza con
 l'indennita' di esproprio. Sarebbe invece legittimo  un  risarcimento
 che  rappresenti  adeguata  maggiorazione  rispetto all'indennita' di
 esproprio  e  non  eccessiva  minorazione  rispetto  al  risarcimento
 ordinario.
   Tale  iter argomentativo merita di essere sottoposto a critica, per
 una serie di ragioni.
   Anzitutto una considerazione generale: l'istituto  dell'occupazione
 appropriativa,   consolidatosi   nella  giurisprudenza  degli  ultimi
 quindici  anni,  rappresenta  al  momento  il  miglior   componimento
 possibile  di  una  serie  di  interessi ed esigenze contrastanti. Di
 conseguenza,  l'equilibrio  raggiunto  attraverso  lo  sforzo   degli
 interpreti  non  deve  essere continuamente rimesso in discussione da
 scelte poco meditate.  in particolare, non e' pensabile che  rispetto
 a questioni che riguardano la configurazione sociale della proprieta'
 e l'efficienza della pubblicazione amministrazione possano delinearsi
 nuove soluzioni ogni anno.
   Non   sembra   poi   che  la  dichiarazione  di  pubblica  utilita'
 dell'opera,  dalla  giurisprudenza  (anche  costituzionale)  ritenuta
 presupposto  sufficiente  per  escludere  il diritto del privato alla
 retrocessione, possa giustificare la decurtazione del ristoro  dovuto
 al privato.
   L'equilibrato componimento di cui parla Corte cost. n. 369/1996 non
 deve  comprendere anche l'interesse della pubblica ammministrazione a
 contenere la spesa per il risarcimento: chiunque cagioni ad altri  un
 danno   ingiusto  ha  interesse  a  risarcirlo  nella  misura  minore
 possibile (anzi, a non risarcirlo affatto), ma non per  questo  viene
 tutelato    dall'ordinamento.    E'    evidente   che   la   pubblica
 amministrazione responsabile  di  occupazione  appropriativa  non  si
 differenzia  da  ogni  altro soggetto ed agisce, per cosi' dire, iure
 privatorum.  Ne'  la  dichiarazione  di  pubblica  utilita'   esclude
 l'ingiustizia   ex   art.   2043   c.c.   del  danno  da  occupazione
 appropriativa.
   Vi e' poi da considerare che le esigenze di  finanza  pubblica,  da
 Corte  cost.  n.  283/1993  ritenute  idonee  a  giustificare congrue
 riduzioni per l'indennita' di regolare esproprio, e  dal  legislatore
 utilizzate   per  modificare  la  regolamentazione  dei  procedimenti
 ablatori in occasione delle "finanziarie", devono  rimanere  estranee
 alla  determinazione  sia dell'indennita' di esproprio, sia del danno
 da occupazione appropriativa.  Da diversi anni la  congiuntura  degli
 Stati  economicamente  piu'  avanzati  e' caratterizzata da politiche
 monetariste di aggiustamento strutturale  e  di  taglio  della  spesa
 pubblica, che hanno invertito le precedenti tendenze keynesiane. Cio'
 tuttavia  non  ha  determinato  in altri Paesi una generale riduzione
 delle somme legalmente dovute per  espropri,  legali  e  non,  mentre
 l'esigenza  generica della pubblica amministrazione italiana (come di
 ogni soggetto  giuridico)  di  risparmiare  non  puo'  cagionare  una
 riduzione della tutela degli altrui diritti.
   In  verita'  la determinazione in misura ridotta dell'indennita' di
 esproprio si giustifica non con l'interesse pubblico  (altrimenti  si
 legittimerebbe  l'esclusione  di  ogni rimborso), bensi' con il fatto
 (anch'esso accennato in Corte cost.  n.  283/1993)  che  la  qualita'
 edificatoria   riconosciuta   nella   libera  contrattazione  non  e'
 intrinseca al bene, ma e' il  frutto  di  scelte  urbanistiche  della
 collettivita'.      Una  tale  giustificazione  non  puo'  estendersi
 all'occupazione  appropriativa,  in  quanto   l'amministrazione   che
 acquisisce illecitamente il bene non differisce dal privato che tenga
 analoga condotta.
   Va  infine  ribadito  che l'indennizzo ex art. 42 comma terzo della
 Costituzione  presuppone   una   procedura   legittima,   mentre   il
 risarcimento  del  danno  non  puo'  che  essere integrale, in quanto
 correlato ad  una  attivita'  illecita,  fonte  dell'obbligazione  di
 ripristinare lo status quo ante, o direttamente o per equivalente.
   Va poi rilevato anche il contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto la
 norma  contestata  riconosce  in  linea  di  principio  al privato il
 diritto all'integrale risarcimento,  salvo  che  per  le  occupazioni
 illegittime  intervenute  prima  del 30 settembre 1996, e cioe' prima
 del termine  per  la  presentazione  del  disegno  di  legge  per  la
 "finanziaria" 1997.
    Emerge   anzitutto   l'ambiguita'   della  locuzione  "occupazioni
 illegittime intervenute  prima  del  30  settembre  1996"  potrebbero
 considerarsi  come  "intervenute"  tanto le occupazioni materialmente
 eseguite  attraverso l'apprensione del bene  entro  il  30  settembre
 1996,  tanto  le  (sole) occupazioni divenute illegittime entro il 30
 settembre 1996 per scadenza del termine.
   Nella  prima  ipotesi,  alla  luce  della  normativa  attuale,   le
 occupazioni   materialmente  eseguite  entro  il  30  settembre  1996
 diverrebbero  illegittime,  qualora  non  seguite   da   decreto   di
 esproprio,  nel  2001;  in  tal modo verrebbe svuotato il diritto del
 privato al risarcimento integrale, pur riconosciuto in generale dalla
 norma in esame. Nella seconda ipotesi, invece, si determinerebbe  non
 l'equilibrato  componimento  di interessi auspicato da Corte cost. n.
 369/1996,  bensi'  un  intervento  provvisorio  ed  emergenziale   di
 sanatoria  di  abusi pregressi, non giustificato da esigenze chiare e
 verificabili.
   Sussiste  in  ogni  caso  una  minorazione  eccessiva  rispetto  al
 risarcimento  ordinario  ed  una maggiorazione troppo esigua rispetto
 all'indennita' di esproprio.
   In verita' Corte cost. n. 369/1996 non ha considerato che  gia'  da
 tempo  esiste  la  norma  dell'art.  11 comma 7 legge n. 413/1991, la
 quale,  sottoponendoli  entrambi  alla  medesima  ritenuta   fiscale,
 parifica  il  risarcimento  dei  danni  da  occupazione appropriativa
 all'indennita' di esproprio, differenziandolo dalle  altre  forme  di
 risarcimento,    solitamente    esentasse.   Tale   norma,   la   cui
 costituzionalita' non e' in questione  nella  presente  controversia,
 introduce  gia'  un  notevole  "componimento  di interessi" nel senso
 della predetta sentenza.
    L'espressa  esclusione della possibilita' di riduzione del 40% non
 ha creato una situazione di favore per  il  danneggiato,  atteso  che
 l'ocupazione   appropriativa   e'   incompatibile   con  la  cessione
 volontaria del bene ex art. 5-bis cpv. legge n. 359/1992,  ma  si  e'
 limitata  a  parificare  le  due  situazioni, evitando un trattamento
 addirittura deteriore per il sottoposto ad occupazione appropriativa.
    Il valore  di  mercato  del  bene,  sia  pure  ridotto  attraverso
 un'applicazione  aggiornata della legge di Napoli, funge da parametro
 per la liquidazione  delle  indennita'  di  esproprio  solo  in  casi
 particolari   (edificabilita'  legale  ed  effettiva),  i  quali  non
 costituiscono probabilmente la maggioranza; nelle altre  ipotesi,  ai
 sensi dell'art. 5-bis comma 4 legge n. 359/1992, si fa riferimento al
 valore agricolo. Attraverso l'indebita adozione, per il  risarcimento
 del danno da occupazione appropriativa, dei medesimi parametri (salva
 la  maggiorazione  di  cui  in  seguito),  si  finisce  col negare il
 criterio generalizzato del valore di mercato, che certamente  non  ha
 ragione di essere derogato in relazione ad attivita' contra legem.
   E'  infine  evidente l'irrisorieta' della maggiorazione del 10%, la
 quale, mediata aritmeticamente  col  reddito  dominicale  rivalutato,
 ammonta al 5% circa del valore reale.
   Sussiste  poi  contrasto  con  l'art.  28  Cost.,  in  quanto, come
 rilevato in tribunale di Lecce 30  gennaio  1996,  con  la  quale  fu
 sollevata  la  questione poi accolta da Corte cost. n. 369/1996 (cfr.
 punto 9.3.   della motivazione di tale  sentenza),  "non  puo'  avere
 alcun  significato l'imposizione di limiti al potere pubblico, se poi
 la violazione di quei limiti non determina conseguenze per l'ente che
 ne e' responsabile", ed, in particolare, conseguenze per il  pubblico
 funzionario che ha violato la legge.
   Vi  e' infatti da osservare che i commi 1 e 1-bis dell'art. 1 della
 legge n. 20/1994, come sostituiti dall'art. 3,   comma  1,  lett.  a)
 legge  6391996,  hanno  limitato  la  responsabilita' contabile delle
 persone sottoposte alla giurisizione della Corte dei conti  ai  fatti
 commessi con dolo o colpa grave, stabilendo altresi' che nel relativo
 giudizio  si  tenga  conto dei vantaggi derivanti all'amministrazione
 dal  comportamento  delle   persone   sottoposte   al   giudizio   di
 responsabilita'.   Tale normativa, di per se' idonea a consentire una
 valutazione  sostanziale  della   responsabilita'   contabile   e   a
 scongiurare  pericoli di paralisi dell'attivita' amministrativa, gia'
 resi concreti dalla troppo lata dizione (o applicazione) della  norma
 di  cui  all'art.  323  del  codice  penale,  si  risolve in subiecta
 materia, in virtu' della formulazione della norma  censurata,  in  un
 sostanziale esonero da responsabilita' per occupazione appropriativa:
 non  si  vede  infatti  come  la causazione di un danno aggiuntivo in
 termini reali del 5% circa, bilanciata dal rischio per il privato  di
 prescrizione  quinquennale  anziche' decennale (come per l'indennita'
 di esproprio) e dal soddisfacimento dell'interesse alla conservazione
 dell'opera  pubblica  (la  quale  certamente  costituisce  "vantaggio
 comunque    conseguito    dall'amministrazione    in   relazione   al
 comportamento del soggetto al giudizio  di  responsabi1ita'"),  possa
 addebitarsi a titolo di colpa grave, i casi di dolo apparendo ipotesi
 eccezionali.
   Ne'   infine   puo'   giustificarsi   la  norma  censurata  con  la
 considerazione di autorevole dottrina, (che  i  casi  di  occupazione
 appropriativa   sono  spesso  frutto  di  collusione  tra  privato  e
 funzionari pubblici infedeli al fine di  far  lucrare  al  primo  una
 somma  maggiore:  tale  illazione,  non  generalizzabile, non e' allo
 stato   riscontrata   da   una   casistica   penale   statisticamente
 apprezzabile.